“La difficoltà maggiore dei Comuni – in questa prima fase di avvio del nuovo Codice – è legata alla mancanza di una puntuale definizione su aspetti innovativi fondamentali e decisivi (quali la qualificazione delle stazioni appaltanti e l’individuazione dei livelli di progettazione), che rischiano di rallentare quel condiviso obiettivo di semplificazione e accelerazione dei processi relativi agli appalti pubblici“. Queste le parole di Gabriele Rabaiotti, Assessore Lavori pubblici e Casa del Comune di Milano, in rappresentanza dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) ascoltato in audizione lo scorso 20 settembre 2016 presso le Commissioni riunite Ambiente della Camera dei Deputati e Lavori Pubblici del Senato della Repubblica. Pur apprezzando il lavoro svolto dal Governo e dall’ANAC, Anci non ha potuto fare a meno di sottolineare come già in Conferenza Unificata aveva espresso non poca preoccupazione sulla scelta di un periodo transitorio ritenuto inadeguato rispetto all’imponente mole di decreti attuativi (circa 65) che avrebbe dovuto completare il quadro regolatorio delineato dal nuovo Codice. Preoccupazione che aveva manifestato anche il Consiglio di Stato con il Parere 1 aprile 2016, n.855 in cui osservò che “l’obiettivo di una regolamentazione sintetica e unitaria, chiaramente conoscibile, rischia così di perdersi nella moltiplicazione degli atti attuativi. È evidente che la scommessa del nuovo codice potrà essere vinta solo se la fase di adozione degli atti attuativi avverrà in modo tempestivo, ordinato e coordinato“A conferma di queste preoccupazione, durante l’Audizione Anci ha sottolineato come a distanza di 5 mesi dall’entrata in vigore del nuovo Codice Appalti nonostante l’alacre lavoro di ANAC e MIT “si registra un ritardo nella definizione di quell’impianto di regole e principi sottesi alla riforma e un rallentamento delle opere pubbliche, dovuto al fatto che vi siano ancora incertezze sulla puntuale definizione del nuovo impianto regolatorio degli appalti pubblici“. Tra i decreti non ancora emanati, l’Anci ha ricordato quello sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, determinante nelle scelte organizzative e gestionali dei Comuni che ambiscono ad essere autonomi nonché per le aggregazioni già esistenti che potrebbero evolversi e mettere a frutto l’esperienza maturata. Altri nodi ancora da sciogliere sono quelli relativi ai livelli di progettazione, alle incertezze interpretative sorte a seguito dei pareri del Consiglio di Stato e di queste Commissioni sui compiti e requisiti professionali del RUP e servizi di ingegneria e architettura espressi nel mese di agosto, il parere del Consiglio di Stato (16 settembre u.s.) sulle linee guida dell’ANAC in materia di appalti sotto-soglia.
Nel corso dell’audizione parlamentare, l’Anci ha consegnato un documento dettagliato con richieste e proposte suddiviso nei seguenti capitoli:
Appalti di lavori pubblici
Progetto esecutivo per manutenzioni ordinarie
Livelli di progettazione
Collaudi
Appalti di forniture e servizi
Centrali Uniche di Committenza
Progetto esecutivo per manutenzioni ordinarie
In riferimento ai lavori di manutenzione ordinarie, l’art. 105 del Regolamento di attuazione (DPR n. 207/2010) consentiva di prescindere dalla redazione del progetto esecutivo permettendo di bandire la gara per l’affidamento con il livello di progettazione definitiva. Unica eccezione erano i lavori di manutenzione che prevedevano il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere dove, in questo caso, era obbligatoria la redazione del progetto esecutivo. Con l’entrata in vigore del nuovo Codice, l’art. 105 è stato abrogato e non sopravvive neanche in regime transitorio. In questo modo, considerato che la stragrande maggioranza degli appalti banditi dalle stazioni appaltanti riguarda la manutenzione del loro patrimonio, l’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti ha paralizzato la pubblicazione di appalti di lavori. Le stazioni appaltanti, infatti, prima di procedere alla pubblicazione del bando hanno dovuto procedere alla redazione del progetto esecutivo che, essendo un livello di dettaglio, necessita di tempi di redazione più lunghi dei precedenti livelli. Inoltre, i piccoli e medi comuni si sono trovati, in alcuni casi, nell’impossibilità di progettare internamente per l’assenza di figure tecniche con competenze adeguate. In questo ultimo caso si rendeva necessario procedere prima all’individuazione di un progettista esterno tramite procedura ai sensi degli artt. 36 o 157, a seconda del valore, e tenendo presente che il Codice prevede obbligatoriamente il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per gli appalti di servizi di ingegneria per importi superiori a 40.000 euro, e solo dopo alla redazione del progetto. In alcuni casi poi, in presenza essenzialmente di manutenzione ordinaria c.d. “a chiamata” e cioè al verificarsi dell’evento che causa l’obbligo di intervenire, risulta difficile immaginare un progetto esecutivo. Livelli di progettazione. In riferimento ai livelli di progettazione, Anci ha sottolineato che nell’attesa del relativo decreto attuativo le stazioni appaltanti stanno attendendo prima di iniziare la lunga attività di progettazione del progetto esecutivo. La preoccupazione, infatti, è quella di evitare di dover ripetere, nel breve periodo, la progettazione o di aver dato, tramite gara, un incarico di progettazione che non risponde più alla futura normativa. Su questo occorre un’accelerazione da parte del Governo e l’accoglimento di quanto proposto al punto precedente sul livello di progettazione previsto per le manutenzioni ordinarie. Collaudi. La criticità emersa sui collaudi attiene alla formulazione dell’art. 102, comma 8, del nuovo Codice, per cui non è possibile prevedere, per gli appalti di minor importo, il Certificato di Regolare Esecuzione considerata l’assenza di tale decreto. Infatti, è vero che l’art. 102 rimanda ad un regime transitorio ma le norme rimaste in vigore del DPR n. 207/2010 non disciplinano i casi in cui il Certificato di Collaudo può essere sostituito dal certificato di Regolare Esecuzione. Tale disciplina era, infatti, prevista dall’art. 141 del D. Lgs. n. 163/2016 ora abrogato, pertanto per poter procedere con il CRE, in sostituzione del Certificato di Collaudo, bisognerà attendere il precitato decreto che indicherà i casi. Tale interpretazione trova conferma nelle linee guida ANAC sul DEC.Centrali Uniche di Committenza. Sulle Centrali Uniche di Committenza, Anci ha sottolineato come l’implementazione dei modelli di aggregazione “qualificati” dei Comuni, deve essere un obiettivo condiviso con il Governo attraverso la messa in campo di forme di analisi, supporto e monitoraggio della nuova governance che sappiano rispondere agli obiettivi che l’Unione europea ci impone in materia di appalti e che deve trovare in ANCI e nella rete delle centrali di committenza comunali i necessari interlocutori e protagonisti. A tal fine, l’inserimento dei Soggetti Aggregatori di cui all’articolo 9, comma 2, del D.L. n. 66/2014 e quindi delle Città Metropolitane tra i soggetti qualificati di diritto ex articolo 38, comma 1, rappresenterebbe un primo passaggio significativo. Nel corso dell’audizione Rabaiotti ha sottolineato l’importanza di un’attività costante di monitoraggio e accompagnamento per garantire l’attuazione efficace di una riforma che deve mettere al centro del processo innovativo il ruolo dei Comuni e delle Città metropolitane. “In tal senso, un ruolo importante – ha affermato l’assessore – potrà essere svolto dalla Cabina di Regia appena costituita e a cui l’Associazione vuol dare la massima collaborazione istituzionale“. Concludendo l’Assessore ha quindi chiesto “un’accelerazione dell’operazione di completamento della riforma, che attende la predisposizione ed emanazione di decreti e linee guida su aspetti di fondamentali importanza“.