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“Non aggiudicazione” della gara e sua integrale revoca. Legittimità.

“Non aggiudicazione” della gara e sua integrale revoca. Legittimità. Una sentenza interessante perchè, in particolare, si sofferma sui principi che devono sostenere la revoca di un atto.


La stazione appaltante dispone la “non aggiudicazione” della gara relativa al servizio di supporto alla riscossione ordinaria delle entrate tributarie, revocando la gara. La migliore offerta, oggetto di proposta di aggiudicazione poi disattesa, impugna la decisione di non aggiudicare.


Tar Campania, Napoli, Sez. III, 14/11/2019 n.5368 respinge il ricorso.

E’ pacifico in giurisprudenza che la procedura di gara si conclude solo con l’aggiudicazione definitiva e, pur restando ancora salva la facoltà per la stazione appaltante di manifestare il proprio ripensamento – in questo caso secondo le forme proprie dell’autotutela decisoria – per contro, prima di questo momento l’amministrazione resta libera di intervenire sugli atti di gara con manifestazioni di volontà di segno opposto a quello precedentemente manifestato senza dovere sottostare a dette forme (cfr. ex multis CdS, Sez. V, n. 107 del 4.1.2019).

In altri termini – in ragione della natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, e della non tutelabilità processuale di quest’ultima ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (ex multis, Consiglio di Stato sez. V, 09/11/2018, n.6323; Cons. Stato, V, 20 agosto 2013, n. 4183) – rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 09/11/2018, n.6323; Consiglio di Stato sez. V, 04/12/2017, n.5689; Consiglio di Stato sez. III, 07/07/2017, n.3359; Cons. Stato, VI, 6 maggio 2013, n. 2418; in termini, Cons. Stato, IV, 12 gennaio 2016, n. 67). Neppure è richiesto un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato , non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario dal momento che l’aggiudicazione provvisoria ( o la proposta di aggiudicazione) non è l’atto conclusivo del procedimento (Cons. St. n. 6323/2018).

In siffatte evenienze la giurisprudenza amministrativa ha tra l’altro evidenziato che, nelle gare pubbliche, la decisione della Pubblica amministrazione di procedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell’aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l’aggiudicatario provvisorio vanta solo un’aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l’assenza di una posizione di affidamento in capo all’aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua l’onere motivazionale facente carico alla Pubblica amministrazione, in occasione del ritiro dell’aggiudicazione provvisoria, anche con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico giustificativo dell’atto di ritiro (cfr. Consiglio di Stato , sez. III , 06/03/2018 , n. 1441). E’ poi evidente che, rimanendo immutata la consistenza della posizione soggettiva con la quale interferisce l’esercizio del potere di ritiro della P.A., alle medesime conclusioni deve giungersi nel caso in cui il potere di revoca abbia ad oggetto l’intera procedura di gara, in specie se sia giustificata da pregnanti motivazioni di carattere finanziario ed in particolare da sopravvenute difficoltà economiche (ex multis Cons. St. Sez. III 29 luglio 2015 n. 3748; 26 settembre 2013 n. 4809).


Non sono accolte neppure le  censure con le quali la ricorrente contesta le ragioni della revoca della procedura di gara.

La giurisprudenza in materia è – in linea generale – attestata nel ritenere che la revoca dei provvedimenti amministrativi, disciplinata dall’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990 (e introdotta dall’art. 14, l. n. 15 del 2005), si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc (e, quindi, non retroattiva), di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia.

I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art. 21 quinquies (per come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n. 133 del 2014) con formule lessicali (volutamente) generiche e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento) e in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici).

Ora, ancorchè l’innovazione del 2014 abbia inteso accrescere la tutela del privato da un arbitrario e sproporzionato esercizio del potere di autotutela in questione (per mezzo dell’esclusione dei titoli abilitativi o attributivi di vantaggi economici dal catalogo di quelli revocabili in esito a una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario), il potere di revoca resta connotato da un’ampia discrezionalità (Cons. St., sez. III, 6 maggio 2014, n. 2311).

A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dettagliate all’art. 21 quinquies l. cit. (e che, nondimeno, sono descritte con clausole di ampia latitudine semantica), sicchè il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso ad un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’Amministrazione procedente.

Con riferimento alle procedure di gara deve premettersi, in via generale, che mentre la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d’appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso (come chiarito dall’Adunanza Plenaria con la decisione in data 29 giugno 2014, n.14), prima del perfezionamento del documento contrattuale, al contrario, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2011, n.2291).

Così riconosciuta, in astratto, la revocabilità dell’aggiudicazione (prima, si ripete, della stipulazione del contratto), occorre precisare che la peculiarità della regolazione della funzione considerata (l’amministrazione di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici) impone di definire le condizioni del valido esercizio della potestà di autotutela in questione secondo parametri ancora più stringenti.

A fronte, infatti, della nota strutturazione procedimentale della scelta del contraente, la definizione regolare della procedura mediante la selezione di un’offerta (giudicata migliore) conforme alle esigenze della stazione appaltante (per come cristallizzate nella lex specialis) consolida in capo all’impresa aggiudicataria una posizione particolarmente qualificata ed impone, quindi, all’Amministrazione, nell’esercizio del potere di revoca, l’onere di una ponderazione particolarmente rigorosa di tutti gli interessi coinvolti.

Con riferimento alla revoca degli atti di gara già conclusa con l’aggiudicazione, è stato chiarito che il ritiro di un’aggiudicazione legittima postula, in particolare, la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi (Cons. St., sez. V, 19 maggio 2016, n. 2095).

Tali canoni di condotta appena precisati restano validi anche per le procedure di aggiudicazione soggette alla disciplina del d.lgs. n. 50 del 2016, nella misura in cui il paradigma legale di riferimento resta, anche per queste ultime, l’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, e non anche la disciplina speciale dei contratti, che si occupa, infatti, di regolare il recesso e la risoluzione del contratto, e non anche la revoca dell’aggiudicazione degli appalti (ma solo delle concessioni).

Nel caso all’esame del Collegio tali parametri sono attenuati considerato che la gara non si è conclusa con l’aggiudicazione definitiva ma è stato solo individuato il concorrente che aveva presentato la migliore offerta ed in relazione al quale si è proceduto alla verifica della congruità. Nessun dubbio, poi, che il potere esercitato sia ascrivibile alla revoca atteso che alla base della stessa, come si è detto, sono le rilevate criticità dell’affidamento, stante la palese violazione della chiara previsione dell’art. 10 del capitolato ed il dissesto finanziario, medio tempore, sopravvenuto con l’insediamento dell’Organismo Straordinario di Liquidazione.


Orbene la natura giuridica di atto generale del bando e di atto endoprocedimentale della aggiudicazione provvisoria (ora, proposta di aggiudicazione) non consentono di applicare la disciplina dettata dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. n. 241 del 1990 in tema di revoca e annullamento d’ufficio (Cons. St., sez. V, 20 agosto 2013, n. 4183): la revoca dell’aggiudicazione provvisoria (ovvero, la sua mancata conferma), al pari della revoca della lex specialis che ne è a monte non è, difatti, qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, sì da richiedere un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario (Cons. St., sez. V, 20 aprile 2012, n. 2338).

Nella controversia in esame non solo non c’è stata alcuna aggiudicazione, ma soltanto una “proposta di aggiudicazione” al concorrente che aveva presentato l’offerta giudicata più conveniente, e la ragione sottesa alla revoca appare non manifestamente irrazionale e illogica, uniche ipotesi in cui questo giudice può sostituirsi alla stazione appaltante nella valutazione di non proseguire con la gara.


Come è già stato sostenuto da questo Tribunale (n. 1916/2013) – in fattispecie sovrapponibile a quella in esame, parimenti caratterizzata da aggiudicazione provvisoria (ratione temporis) e da revoca della gara per sopravvenuto dissesto finanziario dell’ente locale – la revoca della gara pubblica può ritenersi legittimamente disposta dalla stazione appaltante in presenza di documentate e obiettive esigenze di interesse pubblico che siano opportunamente e debitamente esplicitate, che rendano evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa, oppure quando, anche in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca sia la risultante di una rinnovata e differente valutazione dei medesimi presupposti (Tar Campania Napoli Sez. VIII 5 aprile 2012 n. 1646; Trentino Alto Adige, Trento, 30 luglio 2009 n. 228).

Nella specie, l’amministrazione comunale ha giustificato l’atto di revoca con la sopravvenienza del dissesto finanziario e con le funzioni assegnate all’OSL nell’ambito della gestione del dissesto. Ad avviso del Collegio la circostanza sopravvenuta del dissesto finanziario appare – in una visione globale e non atomistica delle condizioni dell’ente locale opportunamente rivalutate in epoca successiva alla indizione ed espletamento della gara – rispettosa dei principi di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione, dal momento che la prosecuzione dell’appalto in condizioni diverse da quelle iniziali si sarebbe posta in contrasto con l’esigenza di una gestione razionale ed efficiente delle risorse pubbliche. Né la previsione dell’art. 255, comma 8, t.u.e.l. invocata dall’amministrazione comunale appare peregrina ed estranea alla globalità delle valutazioni che l’ente è chiamato a compiere in circostanze eccezionali per la vita dell’ente locale.


Pertanto, poiché nelle determinazioni di revoca la valutazione dell’interesse pubblico consiste in un apprezzamento discrezionale non sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo che non risulti viziato sul piano della legittimità per manifesta ingiustizia ed irragionevolezza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 aprile 2012 n. 1646; T.A.R Campania, Napoli, Sez. I , 12 aprile 2010 n. 1897), e nella specie, non emergono siffatte circostanze nel quadro complessivo delle valutazioni operate dall’ente che ha conformato la sua condotta ad apprezzabili principi di buona amministrazione, deve concludersi per la reiezione nel merito del ricorso.

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